IL TEOREMA DI GöDEL E L'I.A.

 

Piergiorgio Odifreddi
marzo 1992

 

Due libri (Gödel, Escher e Bach di Douglas Höfstadter, e La nuova mente dell'imperatore di Roger Penrose) hanno contribuito a tener vivo, negli anni '80, il dibattito sull'Intelligenza Artificiale.1 Il loro successo di pubblico,2 in un campo non propriamente di cassetta qual è la divulgazione scientifica, mostra come i loro autori siano maestri nell'arte di attrarre l'attenzione.

Entrambi allestiscono uno spettacolo di fuochi artificiali. Höfstadter spara in aria paradossi logici, canoni a granchio, geometrie non euclidee, cromosomi, neuroni, la stele di Rosetta, cristalli aperiodici, superconduttori, aforismi zen, formicai. Penrose risponde con paradossi quantistici, relatività generale, mondi paralleli, la freccia del tempo, frattali, fotoni, la torre di Pisa, il Big Bang, buchi neri e bianchi, tessellamenti periodici del piano, quasicristalli, ed un numero binario lungo due pagine.

Come ogni trasmissione di cassetta che si rispetti, i due autori invitano ospiti famosi al loro fianco. Il salotto variopinto di Höfstadter riceve Federico il Grande, Bach e famiglia, Achille e la tartaruga, Lewis Carroll e Alice, Euclide e Ramanujan, Escher e Magritte. Quello più austero di Penrose accoglie Galileo e Newton, Schröodinger e il gatto, Hilbert e Mandelbrot, Platone e Einstein, e addirittura il Creatore.

Conteso da entrambi i conduttori e vero ospite d'onore è il logico matematico Kurt Gödel, un cui risultato degli anni '30 (noto appunto come Teorema di Gödel) aveva già in precedenza attirato l'attenzione di filosofi, giornalisti e (perché no?) poeti, ispirando infatti addirittura un poema in musica. I due autori non sono dunque particolarmente originali, da questo punto di vista. L'aspetto interessante sta nel fatto che le loro tesi sono contrapposte: entrambi usano il Teorema di Gödel per argomentare sull'Intelligenza Artificiale, ma Höfstadter a favore e Penrose contro. Per capire da che parte stia la ragione, dobbiamo introdurre i termini del dibattito ed enunciare i risultati di Gödel.

 
 

L'Intelligenza Artificiale

Nel 1936 il matematico inglese Alan Turing sviluppo le basi teoriche dell'informatica, introducendo in particolare un modello astratto di macchina calcolatrice programmabile, oggi chiamata appunto macchina di Turing.3 Egli prese spunto da un'analisi del processo mentale di calcolo e, benché il suo lavoro fosse puramente matematico, Turing usò a più riprese una terminologia antropomorfa, parlando in particolare di 'stati mentali' per riferirsi a configurazioni interne della macchina. Pochi anni più tardi egli incominciò ad accarezzare il sogno di costruire fisicamente una tale macchina, e continuò ad usare l'analogia originaria, parlando del suo progetto come della costruzione di un 'cervello'.4

Tali espressioni non erano altro che analogie stimolanti ma superficiali, e così erano viste da coloro che conoscevano Turing. Ad esempio Max Newmann, che fu relatore della sua tesi di laurea ed ebbe un ruolo di rilievo nella costruzione dei primi calcolatori inglesi, nel necrologio di Turing5 dice che egli 'aveva un talento per analogie comiche6 ma brillanti, che dispiegò nelle discussioni su cervelli e macchine'.

In seguito l'ironia di Turing andò perduta e, quando i computers divennero disponibili, l'analogia fra essi ed il cervello incominciò ad essere presa seriamente. In un certo senso, questo era da prevedere: nel corso dell'evoluzione scientifica si è spesso cercato di assimilare il cervello all'ultima meraviglia tecnologica. Ad esempio, Cartesio7 lo descrisse come un sistema idraulico, che permette il flusso periodico di spiriti vitali da un bacino centrale ai muscoli, e Pearson8 lo vide come un sistema telefonico, consistente di fili fissi e collegamenti mobili. Né questo è l'uso più 'progressista' del computer, visto che esso è stato proposto addirittura come modello per l'intero universo,9 anche qui con dovuti precedenti: nel secolo XVII l'universo veniva paragonato ad un orologio meccanico, e nel secolo XIX ad un motore a vapore.

Naturalmente, non stiamo negando il fatto che le novità tecnologiche possano essere utili alla comprensione del mondo in generale, o del cervello in particolare. Ad esempio, il modello di Pearson fu applicato nello studio della risposta dei riflessi spinali, ed Arbib sta usando da vari anni il computer per modellare specifiche funzioni cerebrali.10 In discussione è invece il riduzionismo esasperato che crede di aver ormai raggiunto le frontiere del sapere, di fronte a cui ci mette in guardia Wittgenstein col motto delle Philosophical Investigations: 'il progresso appare sempre più grande di quanto realmente sia'.

Allo stato attuale di conoscenza, le relazioni fra cervello e computer sono solo superficiali: il cervello è un organo elettrochimico con un gran numero di connessioni, che opera massicciamente con azioni parallele e globali (olistiche), a bassa velocità e basso costo energetico, capace di generare in continuazione nuovi elementi e nuove connessioni; il computer è invece un sistema elettronico a connessioni fisse, operante quasi solo sequenzialmente e localmente, ad alta velocità.

Non si pone dunque il problema di identificare cervello e computer come macchine (a livello hardware), bensì di paragonarli come comportamento e prestazioni (a livello software). Infatti, appena il computer fu disponibile si incomincio ad usarlo non soltanto per i calcoli matematici per i quali era stato progettato, ma anche per simulare aspetti diversi dell'attività mentale umana. Ad esempio, Turing stesso incominciò a scrivere programmi per giocare a scacchi, e via via si passò a progetti più ambiziosi quali risoluzione di problemi, dimostrazione di teoremi, rappresentazione della conoscenza, analisi del linguaggio, riconoscimento di immagini, apprendimento per esperienza, e così via.11

I successi (parziali) non sono mancati: basti ricordare i sistemi esperti (in cui la conoscenza di esperti in un dato campo viene codificata mediante un sistema di regole, e questo diventa in grado di rispondere a domande relative al campo dato, sostituendosi così agli esperti stessi), e la robotica (in cui l'attività di macchinari viene regolata da programmi, che si sostituiscono così agli operatori umani).

Ma, come spesso accade, il successo fece perdere la testa. Il motto di spirito di Turing, di costruire un cervello, divenne il motto programmatico dell'Intelligenza Artificiale (nella speranza di recuperare, se non la testa, almeno il suo contenuto). Ma mentre per Turing tale motto significava soltanto costruire un computer, esso viene ora reinterpretato, con irriverenza prometeica, come costruzione di un programma che simuli le attività cerebrali umane. L'accento si è dunque spostato tutto sulla parola simulazione, lasciando da parte il problema discusso precedentemente, se il cervello stesso sia o no un computer.

Parliamo qui di attività cerebrale e non di pensiero, per rimanere nel campo scientifico ed evitare di addentrarci in discussioni metafisiche, da cui comunque né il dibattito sull'Intelligenza Artificiale in generale, ne Höfstadter e Penrose in particolare, sono rimasti immuni. Citiamo soltanto, a titolo di esempio, il problema se sia possibile parlare di 'intelligenza' di un programma (simili domande si possono fare per 'creatività', 'autocoscienza', e così via).

Naturalmente, se si definisce l'intelligenza come una qualità umana, un programma non potrà essere intelligente per definizione. Per parte sua Turing (pur pensando che il problema fosse 'troppo privo di senso per meritare una discussione'), molto semplicemente ha proposto12 di considerare intelligente ogni programma il cui comportamento sia indistinguibile da quello umano (cioè di definire intelligente, in modo operativo, tutto ciò che si comporta intelligentemente), ed ha pure suggerito provocatoriamente13 di inserire in un tale programma un elemento casuale, come una roulette, per imitare l'imprevedibilità del comportamento umano.

Tornando al cervello, le ricerche di Sperry (che gli sono valse il premio Nobel per la Medicina nel 1981) hanno mostrato che le attività dei due emisferi sono complementari e assolutamente differenziate. L'emisfero sinistro è preposto al pensiero astratto e alle attività di comunicazione, di scrittura e di calcolo. Quello destro è muto, ma preposto alle attività percettive, di riconoscimento ed artistiche. Mentre il primo gruppo di attività è precisamente quello in cui i computers eccellono, il secondo è quello contro cui sta affannandosi l'Intelligenza Artificiale. I termini del dibattito a cui ci si riferiva all'inizio sono dunque ora sul tappeto: è possibile simulare l'attività dell'emisfero destro del cervello mediante l'emisfero sinistro?

Tale dibattito non è che una reincarnazione di un analogo scontro avvenuto negli anni '20 tra formalisti ed intuizionisti, al comando rispettivamente di Hilbert e Brouwer, sulla possibilità o meno di comprimere il ragionamento matematico all'interno di sistemi formali costituiti di assiomi e rigide regole di deduzione (la versione moderna sostituisce semplicemente 'programmi' a 'sistemi formali'). Allora la disputa, lungi dal limitarsi alle sole disquizioni scientifiche, coinvolse aspetti personali, accademici, e addirittura legali, e degenerò a tal punto che Einstein14 la paragonò alla batracomiomachia, la guerra dei topi e delle rane raccontata in un anonimo testo greco.15

Hilbert, che vedeva in Brouwer un pericolo mortale da cui la matematica doveva essere difesa ad ogni costo, riuscì nel 1928 ad allontanarlo dalla sua posizione di editore del più prestigioso giornale matematico dell'epoca, i Mathematische Annalen, ottenendo così una temporanea vittoria per i topi (e una definitiva sconfitta su Brouwer, che praticamente smise di lavorare e di avere seguaci). Ma in soccorso delle rane sbandate accorse, nel 1931, il granchio Gödel con i suoi teoremi. Da allora tali risultati sono stati variamente portati da entrambe le parti contendenti come argomenti a proprio favore.

 
 

Il Teorema di Gödel

Per le discussioni filosofiche, ad esempio sull'Intelligenza Artificiale, gli aspetti tecnici del Teorema di Gödel sono allo stesso tempo un ostacolo, una distrazione e una copertura. Ostacolo perché, mentre la dimostrazione del Teorema di Gödel è solo un giochetto per i matematici (ed appunto su tale semplicità si basa spesso lo scetticismo di questi per la logica matematica, sul principio che è improbabile che si possa ottenere molto con poco), per un outsider essa può apparire complicata e richiedere tecniche 'nuove' (e Höfstadter e Penrose sono infatti costretti a lunghe spiegazioni, per poterne dare trattazioni autosufficienti). Distrazione perché la formulazione tecnica, che si riferisce a precise proprietà matematiche di particolari sistemi matematici, può essere usata al di fuori della matematica solo dopo essere stata spogliata appunto di tali precisioni e particolarità, e dunque solo in una forma da cui gli aspetti tecnici sono scomparsi. Copertura quando, piegandosi allo strapotere della scienza moderna, si pensi che solo attraverso il metodo scientifico sia possibile raggiungere una 'verità', e si finisca dunque di ammantare di formule un argomento filosofico semplicemente per farlo sembrare rispettabile.

Qui sembra più sensato riferirsi a formulazioni meno tecniche, che però da un lato colgono lo spirito del Teorema di Gödel, e dall'altro sono più che adeguate al livello di applicazioni che Höfstadter e Penrose hanno in mente.

Anzitutto, il principio fondamentale del Teorema di Gödel16 era stato enunciato chiaramente da Kant, sia nella Critica della ragion pura che nei Prolegomeni ad ogni metafisica futura. Questo non stupisce, visto che Gödel stesso sottolineò in seguito come egli avesse ottenuto i suoi successi in base alla seguente ricetta: 'concentrarsi su appropriate nozioni filosofiche tradizionali, ed aggiungere eventualmente un pizzico di precisione'.17

Il sistema di Kant può oggi essere descritto brevemente dicendo che le categorie (cioè i 'concetti dell'intelletto') sono semplicemente le nozioni primitive di una formulazione del calcolo dei predicati modale. Le idee trascendentali (cioè i 'concetti della ragione') si ottengono mediante un passaggio al limite di alcune di tali categorie (dette di relazione). In particolare, il limite dell'implicazione (che corrisponde alla categoria della causalità) si raggiunge spingendosi all'indietro il più possibile nella ricerca delle premesse (o cause), e viene detto causa prima; il limite della disgiunzione (che corrisponde alla categoria della comunanza) consiste nel considerare una disgiunzione omnicomprensiva che abbracci ogni cosa, e viene detto dio; infine, al limite del predicato atomico (che corrisponde alla categoria della sostanza) si arriva con la nozione di individualità, che viene detta anima.

I razionalisti, quali Cartesio e Leibniz, che pure avevano fatto della ragione la base per le loro filosofie, non solo avevano accettato di considerare tali idee trascendentali come sensate, ma avevano addirittura tentato di provarne l'esistenza mediante argomenti razionali. Il loro lavoro coronava in un certo senso una tradizione patristica e scolastica, nella quale abbondavano le 'prove' dell'esistenza di dio (scriviamo 'dio' e non 'Dio' seguendo Tommaso d'Aquino, che aveva messo in guardia sul fatto che un dio di cui si provasse l'esistenza non poteva essere il Dio della rivelazione, alla cui esistenza si doveva credere per fede, e non per motivi razionali).18

Kant non si limitò a notare il fallimento di questi tentativi di 'dimostrazione', ma andò ben oltre. Egli mostrò, mediante quattro antinomie, che le idee trascendentali sono contraddittorie, e ne dedusse la seguente conclusione: se si richiede completezza dalla ragione, permettendo la considerazione di idee 'al limite', si cade nell'inconsistenza. In particolare, le idee trascendentali sono le colonne d'Ercole dell'intelletto, e chi pretenda di oltrepassarle è destinato ad annegare nella contraddizione.

La conclusione di Kant si può riformulare dicendo che se la ragione vuole essere consistente, non può essere completa (nel senso di poter decidere ogni problema che essa si ponga). Se si sostituisce 'ragione' con 'sistema matematico', si ottiene precisamente una formulazione del Teorema di Gödel. E anche la dimostrazione di Gödel procede, in essenza, come quella di Kant: dato un sistema matematico, Gödel considera un'idea trascendentale ottenuta come limite della non dimostrabilità nel sistema (una formula che dica di se stessa che non è dimostrabile nel sistema), e mostra che se il sistema è completo (cioè decide ogni formula, dimostrando o essa stessa o la sua negazione) allora si cade nell'inconsistenza.19

Il risultato appena discusso viene spesso chiamato 'primo' Teorema di Gödel per distinguerlo da una sua conseguenza, che è detta 'secondo' Teorema di Gödel. Questa è, molto semplicemente, una formulazione precisa della seguente intuizione psichiatrica. Quando qualcuno ci dice, probabilmente con voce concitata e gesticolando: 'Guarda che non sono matto!', la nostra reazione naturale è fare un passo indietro, e mettersi in guardia: chi non è matto infatti non ha in genere bisogno di farlo sapere, e tali sospettose affermazioni vengono invece spesso urlate quando, in camicia di forza, si viene trascinati in manicomio. D'altra parte, da un matto ci si può ben aspettare qualunque affermazione, dunque anche quella di non esserlo (a patto, ovviamente, che egli abbia un livello minimo di espressione).

Da un punto di vista logico, Gödel scoprì che la stessa situazione si presenta per i sistemi matematici. Un sistema è inconsistente (matematicamente 'matto'), se da esso ci si può aspettare qualunque affermazione (cioè, se esso prova qualunque formula). Ed i soli sistemi che provino la propria consistenza (cioè che affermino di non essere 'matti') sono appunto quelli che sono inconsistenti (a patto, ovviamente, che essi abbiano un livello minimo di espressione).20

Gödel presentò tale teorema (alla fine del suo lavoro del 1931) come merkwürdig, cioè (nel tedesco delle sue parti) una 'curiosita'. Ma esso eccitò gli animi, e a riprova di ciò la traduzione inglese di tale termine divenne dapprima remarkable,21 cioè 'notevole', ed in seguito addirittura surprising,22 cioè 'sorprendente'.23 La reazione di Gödel quando gli si fece notare tale traduzione fu: 'Se essi lo trovano sorprendente, che posso farci?'.

 

 

Penrose

A prima vista, Penrose usa il Teorema di Gödel in maniera piuttosto convincente: poiché, dato un sistema formale consistente, noi possiamo esibire una formula che il sistema non riconosce come vera (essendo essa indecidibile) ma noi si, noi siamo meglio di qualunque sistema formale. Dunque l'Intelligenza Artificiale è impossibile, perché essa richiederebbe la costruzione di un sistema formale (nelle forma di un programma) che simulasse l'attività di pensiero umana, ma tale sistema non vedrebbe la verità di una proposizione che noi invece riconosciamo come vera.

In realtà tale argomento, banalmente scorretto, potrebbe essere un buon test per verificare, in sede di esame, la comprensione di uno studente del Teorema di Gödel e della sua dimostrazione. Il problema non è qui che Penrose non passerebbe il test, quanto piuttosto il fatto che egli finisca col traviare lettori sprovveduti in matematica, benché altrimenti avveduti.

Ad esempio, un biologo titolato come John Maynard Smith finisce per scrivere: '[Il Teorema di Gödel è] una di quelle idee di cui molta gente ha sentito parlare, ma che pochi hanno capito. L'illustrazione che ne fa Penrose è la più chiara e la più utile che io abbia incontrato da molto tempo. Se anche non avessi ricavato nient'altro da questo libro, lo sforzo di leggerlo sarebbe stato ripagato dalla comprensione che mi ha consentito di tale teorema … Quello che non avevo apprezzato, era che la mente umana può essere capace di percepire la verità di alcune proposizioni, benché tale verità non possa essere decisa all'interno del sistema formale.'24

Più concisamente Francis Crick, premio Nobel nel 1962 per la scoperta della struttura a doppia elica del DNA, scrive: 'Il problema di Penrose sembra essere il seguente. Il cervello può risolvere problemi per i quali noi sappiamo che un algoritmo generale non può esistere.'25

Dove risiede dunque tale problema? Semplicemente nell'essersi scordati di aver usato la consistenza del sistema per dedurne la verità della formula che dice di se stessa di non essere dimostrabile. D'altra parte, se il sistema fosse inconsistente, ogni formula sarebbe dimostrabile, e quindi anche la precedente: essa sarebbe dunque falsa, in quel caso. In altre parole, noi abbiamo riconosciuto soltanto la verità condizionale (sotto l'ipotesi di consistenza) di una formula, non quella assoluta.26 E non c'è nessuna presunzione (neppure da parte di Penrose) di pensare che la mente umana sappia riconoscere la consistenza di sistemi formali. Il secondo Teorema di Gödel mette anzi in guardia sulla difficoltà di tale problema: la sua soluzione richiede, per ciascun sistema formale consistente, mezzi al di fuori del sistema stesso.

Ovviamente, la possibilità di usare i suoi risultati nella discussione sul rapporto fra sistemi formali (o programmi) e mente umana non è sfuggita a Gödel, che però ne ha parlato in maniera molto più sofisticata, e dunque meno popolare.27 L'argomento di Penrose è invece soltanto un errore grossolano, fra l'altro nemmeno originale: esso era stato reso celebre negli anni '60 da un altro outsider, il filosofo John Lucas,28 a ragione sbeffeggiato da Höfstadter nel suo libro.
 

 

Höfstadter

Per quanto riguarda Höfstadter, è facile riconoscere che il suo progetto, di usare il Teorema di Gödel per argomentare a favore dell'Intelligenza Artificiale, è insostenibile: egli vuole mostrare le possibilità dei computers, usando un risultato che parla delle loro limitazioni.

D'altra parte, mentre una dimostrazione di impossibilità dell'Intelligenza Artificiale potrebbe avere una qualche utilità pratica, mettendo in guardia contro lo sprecare sforzi, tempo e denari in imprese impossibili, non si vede a che cosa potrebbe servire una dimostrazione di possibilità, né quale dimostrazione migliore ci potrebbe essere del raggiungimento effettivo dello scopo.

E' ovvio che, per Höfstadter, il Teorema di Gödel non è altro che una scusa per poter dispiegare il suo repertorio di interessi, ed un motivo unificante del suo racconto (che ha certamente, nelle intenzioni e nella realizzazione, ambizioni letterarie). Il rischio del suo tentativo è che, sottolineando aspetti marginali comuni di varie imprese intellettuali, si finisca col far passare inosservate le loro differenze sostanziali. Cioè dimostrato dall'esempio dell'autoriferimento, presente nella formula che dice di se stessa di non essere dimostrabile, e ritrovato da Höfstadter nelle mani che si disegnano di Escher, nel richiamo del proprio nome fatto da Bach alla fine dell'Arte della fuga (usando la rappresentazione tedesca di note mediante lettere dell'alfabeto), nel processo di autoriproduzione del DNA, e così via.

 
 

Conclusione

L'aspetto non convincente di entrambi i libri di Höfstadter e Penrose sta nel loro essere a tesi. Se si presentassero soltanto come divertimenti, che probabilmente hanno dato piacere agli autori nella scrittura di ciò che sapevano (e, a volte, anche di qualcosa di più), e che certamente danno piacere e molte nuove informazioni ai lettori, non ci sarebbe che da elogiarli. Essi vogliono invece disquisire a favore o contro l'Intelligenza Artificiale, e sono poi costretti a smascherare miseramente l'irrilevanza, ai fini della loro tesi principale, di quasi tutto ciò che hanno raccontato.

Così Höfstadter finisce di confessare: '[Il Teorema di Gödel] suggerisce, sebbene assolutamente non dimostri!, che potrebbe esistere29 un qualche punto di vista ad alto livello da cui considerare la mente e il cervello, il quale implica concetti che non compaiono ai livelli inferiori e che potrebbero contenere un potere esplicativo che non esiste, neanche in linea di principio, ai livelli inferiori' (p. 768).

E Penrose: 'Se riusciremo a renderci conto [attraverso il Teorema di Gödel] che il ruolo della coscienza è non algoritmico nella formazione di giudizi matematici, in cui sono un fattore importante il calcolo e la dimostrazione rigorosa, allora senza dubbio potremo convincerci che un tale ingrediente non algoritmico30 potrebbe essere31 cruciale anche per il ruolo della coscienza in situazioni più generali (non matematiche)' (p. 526).

Dopo centinaia di pagine (in entrambi i casi), tutto ciò è un po' poco, a meno che non si voglia appunto considerare il percorso fatto tanto importante quanto la conclusione, e forse più.

Per quanto riguarda il dibattito sull'Intelligenza Artificiale, una battuta è dunque forse più adeguata di una lunga dissertazione. Se proprio dobbiamo offrire la nostra, pensiamo che se la Natura o il Creatore ci hanno dato un cervello diviso in due emisferi dai compiti diversi, avranno avuto le loro buone ragioni.

 
 

NOTE


0 - Da La Rivista dei Libri, Giugno 1992, pp. 37-39.

1 - Si veda ad esempio la raccolta di decine di interventi sul secondo in Behavioral and brain sciences, 13 (1990) 643-705.

2 - In particolare, Höfstadter ha vinto il Premio Pulitzer.

3 - 'On computable numbers with an application to the Entscheidungsproblem', Proceedings of the London Mathematical Society, 42 (1936) 230-265.

4 - In A. Hodges, Storia di un enigma, Bollati Boringhieri, 1991, pp. 379 e seguenti.

5 - 'Alan Mathison Turing, 1912-1954', Bibliographical Memoirs of Fellows of the Royal Society, 1 (1955) 253-263.

6 - Corsivo nostro.

7 - L'homme et un traite de la formation du phoetus, Parigi, 1664.

8 - The grammar of science, Scott, 1892.

9 - Ad esempio in W. Poundstone, The recursive universe, Contemporary Books, 1985.

10 - M.A. Arbib, Brains, machines and mathematics, Wiley 1964 e Springer 1986, e The metaphorical brain, Wiley 1972 e 1986.

11 - Si vedano ad esempio P.H. Winston, Artificial Intelligence, Addison-Wesley, 1984, o E. Charniak e D. McDermott, Introduction to Artificial Intelligence, Addison-Wesley, 1985.

12 - In 'Computing machinery and intelligence', Mind, 59 (1950) 433-460, tradotto in L'io della mente, a cura di D.C. Dennett e D.R. Höfstadter, Adelphi, 1985, pp. 61-74.

13 - Sia Newmann, a p. 255 del suo necrologio citato, che Hodges, a p. 541 della sua biografia citata, mettono in guardia sull'aspetto semiserio di alcuni punti dell'articolo di Turing, a riprova di quanto già ricordato più sopra.

14 - In una lettera riportata da D. van Dalen in 'The war of the frogs and the mice', Mathematical Intelligencer, 12 (1990) 17-31.

15 - Il Leopardi si è cimentato a più riprese nella traduzione di tale testo, e ne aveva già egli stesso adottato l'allegoria per descrivere fatti della storia napoletana fra il 1815 e il 1821, nei Paralipomeni della batracomiomachia. Si veda il volume IX del Parnaso Italiano, Einaudi, 1968, in particolare pp. 385-401 e 181-293.

16 - 'Über formal unentscheidbare Säatze der Principia Mathematica und verwandter Systeme I', Monatshefte für Mathematick und Physik, 38 (1931) 173-198, tradotto in Il teorema di Gödel, a cura di S.G. Shanker, Muzzio, 1991, pp. 23-62.

17 - In G. Kreisel, 'Kurt Gödel, 1906-1978', Bibliographical Memoirs of Fellows of the Royal Society, 26 (1980) 149-224.

18 - Fra le prove dell'esistenza di dio è ben nota quella cosiddetta ontologica, data da Anselmo d'Aosta nel Proslogion, e riguardante il dio definito come essere che possiede ogni perfezione: l'esistenza è una perfezione, e dunque tale dio esiste. La citiamo perché Gödel diede, negli anni '70, una variazione più sofisticata (con tanto di definizioni, assiomi e teoremi) di tale argomento, per il dio definito come essere che possiede ogni proprietà positiva. Egli disse di aver avuto l'idea per una tale dimostrazione leggendo Leibniz. Vedi H. Wang, Reflections on Kurt Gödel, MIT Press, 1987, p.195.

19 - Il ragionamento di Gödel è il seguente, per un sistema la cui consistenza discenda dal fatto che ogni suo teorema è vero (la dimostrazione per un qualunque sistema consistente è leggermente più complicata, e fu data da Rosser nel 1936). Una formula che dice di se stessa di non essere dimostrabile non può essere dimostrabile, altrimenti il sistema proverebbe una falsità. Non essendo dimostrabile, e dicendo appunto di non esserlo, essa è dunque vera. Allora la sua negazione è falsa, e dunque anch'essa non è dimostrabile. Il sistema non è quindi completo, perché non decide tale formula.

20 - Per il primo Teorema di Gödel, la consistenza del sistema implica che la formula che afferma di non essere dimostrabile sia effettivamente non dimostrabile. Ma il fatto che tale formula non sia dimostrabile è appunto ciò che la formula stessa afferma. Dunque dalla consistenza del sistema si deduce la formula, ed in sistemi sufficientemente espressivi tale deduzione si può fare all'interno del sistema stesso; in tale caso, se la consistenza fosse dimostrabile lo sarebbe allora anche la formula. Ma il primo Teorema di Gödel dice appunto che ciò non è possibile. Si noti come, a differenza dal primo Teorema di Gödel, per il secondo si richieda dal sistema di essere non soltanto consistente, ma anche sufficientemente espressivo.

21 - In The undecidable, a cura di M. Davis, Raven Press, 1965, p. 35.

22 - In From Frege to Gödel, a cura di J. van Heijenoort, Harvard University Press, 1967, p. 614, e Gödel's collected works, volume I , a cura di S. Feferman, Oxford University Press, 1986, p. 191.

23 - In Il Teorema di Gödel, citato, p. 48.

24 - In La rivista dei libri, Novembre 1991, p. 20.

25 - Corrispondenza privata, 27 Novembre 1989.

26 - Si noti, fra l'altro, che tale verità condizionale è facilmente riconosciuta anche da sistemi formali sufficientemente espressivi. Anzi, proprio su questo si basa la dimostrazione del secondo Teorema di Gödel, accennata nella nota 20.

27 - Si vedano ad esempio H. Wang, From mathematics to philosophy, Routledge and Kegan Paul, 1974, e Reflections on Kurt Gödel, citato.

28 - In 'Minds, machines and Gödel', Philosophy, 36 (1961) 120-124.

29 - Corsivo nostro.

30 - Il testo italiano dice 'non logaritmico', con ovvia svista.

31 - Corsivo nostro.
 

 

Riprodotto per gentile concessione dell'autore